L’Oriana della Val d’Arno: da eretica razzista a muslim correct l’Apocalisse della Fallaci


puccini-fallaci

di Claudia Svampa

Lei l’aveva chiamato ”L’Apocalisse”. Il terzo e ultimo atto della sua trilogia. Arrivato dopo quell’accorato reportage antiislamico contenuto ne “La rabbia e l’orgoglio” e generosamente sostenuto dal sequel “La forza della ragione”.

Era arrivato nel 2004, incartato da Rizzoli, “L’Apocalisse” con Oriana Fallaci che intervista Oriana Fallaci. Testamento spirituale e fine corsa su questa terra.

E nel suo testamento spirituale – l’ennesimo ultimatum all’Eurabia, all’Occidente, all’Europa venduta come una sgualdrina ai sultani, ai califfi, ai visir del nuovo Impero Ottomano – non si crucciava delle solite immancabili minacce in agguato: nous-allons-vous-trouver, we-shall-get-you, te-la-faremo-pagare,  le promettevano i barbuti in sottana. Come con Theo Van Gogh. Come con le stragi di New York, di Madrid o di Londra, diceva lei allora.

Come con Charlie Hebdo a gennaio, o Copenaghen a febbraio, aggiungiamo noi oggi. Ma questo non mi spaventa, non mi scoraggia – ringhiava la Fallaci – La guerra che meritavano glil’ho già fatta. Non si potrebbe cancellarla neanche bruciando tutti i miei libri su una piazza del 1938 a Berlino.

E invece si sbagliava L’Oriana. Diamine se si sbagliava! Questa sera su Rai Uno inizierà la cremazione dei suoi libri. Altro che Berlino 1938: l’eretica da bruciare, la toscanaccia razzista da ghigliottinare, la vecchia cagna infedele da sgozzare sarà giustiziata dalla mini fiction “L’Oriana” che Fandango, con una zuccherata biografia muslim-correct ha fatto riscrivere dagli sceneggiatori Sandro Rulli e Stefano Petraglia.

Un duo che, quanto a radicalizzazione gauche caviar ,rischierebbe di tinteggiare come crociato o fascio anche una pastella di budino  come François Hollande. Un duo che, per riscrivere “L’Oriana” troppo fascista e razzista degli anni 2000, l’ha dovuta sciacquare e filtrare nei lini bianchi e ascetici di Tiziano Terzani.

Primo detesto le interviste. Le ho sempre detestate incominciando da quelle che facevamo ai potenti-della-Terra. Per essere buona un’intervista deve affilarsi, affondarsi, nel cuore dell’intervistato. E questo mi ha sempre incusso disagio. In questo ho sempre visto un atto di violenza, di crudeltà. Secondo ho sempre detestato quelle che i giornalisti facevano a me, non di rado manipolando le mie parole, alterandole fino a rovesciarne il significato, aggiungendo al testo scritto domande che non avevano avuto il coraggio di porre e quindi risposte che non avevo mai dato, poi riparandosi dietro il sacro e profanato principio della Libertà di Stampa. Infatti a un certo punto dissi basta, non mi beccate più. Smisi di farmi intervistare.

Invece l’hanno beccata eccome. L’hanno beccata e centrata meglio dei cecchini arabi che la cercavano da anni, meglio dei macellai di Allah che l’avevano inondata di fatāwà, meglio del suo Alieno-cancro contro cui ha combattuto, e lottato, e a più riprese vinto, per oltre un decennio.

L’hanno beccata e crocifissa nelle peggiori delle arene, la prima serata di Rai Uno, quella che abbevera il pubblico assetato di morbosità, l’orda dei teledipendenti della TV del dolore e dei processi di piazza. Una camera ardente dello spirito per una che, per sua espressa volontà, alle sue esequie non ha voluto niente, neanche un’omelia davanti la bara, neanche un amico, nessuno se non i familiari stretti ad accompagnarla.

L’hanno beccata e liftata in una mini fiction televisiva. Peggio, in un feuilleton televisivo. Peggio l’hanno botulinata nei panni di una rampante reporter, lei che ha preteso che sulla sua lapide fosse scritto Oriana Fallaci scrittore e non scrittrice, meno che mai giornalista. E poi glitterata in una bambolina stregata dallo sguardo magnetico del suo ganzo Alekos Panagulis, neanche fosse quell’Anastasia dalle cinquanta nuances di friccichi, intrappolata fra gli sguardi di acciaio fuso e i pettorali depilati al miele di Christian Gray.

L’hanno beccata e incellophanata in una biografia che avrebbe stracciata alla prima riga se solo avessero avuto l’ardire di proporgliela da viva. Lei che quei suoi libri tanto amati come figlioli, messi al mondo con travagli inauditi, se li traduceva da sola sia in inglese che in francese, e poi quelli in spagnolo li ricontrollava parola dopo parola sul vocabolario perché, diceva, non mi fido mai dei traduttori, tra loro e me vi é un’ostilità sanguinosa, e nelle lingue che conosco preferisco tradurmi da sola.

L’hanno beccata e passata al trucco e parrucco per il ritrattuccio dell’Oriana, con la stessa Vittoria Puccini a prestarle il suo bel visino da fotoromanzo, pendolante fra lo sguardo smarrito in lontananza e il broncetto malizioso del capriccio in primo piano. Tanto da farne un’Oriana della Val d’Arno, originale derivazione dell’Elisa di Rivombrosa che azzarda l’inazzardabile: disciogliere il ringhio fiero da mastino della Fallaci nei belato languido, da maltese della Puccini.

Ma ancora peggio l’hanno beccata e imbavagliata in una censura che é una condanna e insieme menzogna e calunnia spudorata: liquidando a un camaleontismo senile il suo grido strozzato contro l’Eurabia de “La Rabbia e l’Orgoglio”. Silenziando il suo disperato appello al cancro morale che divora l’Occidente ormai filo islamico de “La Forza della Ragione”. E infine ignorando l’ultimo richiamo all’ “Apocalisse”, quella dell’evangelista Giovanni quale fonte di ispirazione per la lotta che i cristiani avrebbero dovuto sostenere per vincere il Mostro a Sette Teste e i suoi complici.

E infine hanno definitivamente distrutto anche l’indistruttibile, la dignità cui non ha mai rinunciato, mai. Mai in tutti i suoi 77 anni di vita. La dignità per la quale é anche morta, riducendo a pochi minuti e una manciata di secondi della sua vita il furioso e impavido impegno di scuotere le coscienze e i popoli, l’Occidente e i suoi governi contro il pericolo incombente che ancora oggi temiamo a chiamare pubblicamente con il nome che merita: la macelleria della jihad islamica.

Stop. Quello che avevamo da dire l’abbiamo detto. La rabbia e l’orgoglio ce l’hanno ordinato. La coscienza pulita e l’età ce l’hanno consentito. Ora basta. Punto e basta. (da “La Rabbia e L’Orgoglio”. O.Fallaci, New York, settembre 2001)

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